Perché l’inclusione ci sta così a cuore?

Anche tu sei un habitué di LinkedIn? Allora saprai che di Diversità & Inclusione ultimamente se ne parla davvero tantissimo. 
…Ed era ora, alleluia!

La letteratura scientifica sull’argomento prospera, sta diventando sempre più ricca e articolata. A conferma che l’inclusività si sta affermando come valore riconosciuto e condiviso, anche molte imprese, aziende e società hanno lanciato iniziative per promuoverla.

Il bello dell’inclusione

Il fine ultimo di una realtà inclusiva? Coltivare un senso di appartenenza che fa sentire autenticamente coinvolti e partecipi all’interno di un ambiente sociale o lavorativo. La consapevolezza di far parte di un gruppo che comprende noi stessi insieme ad altri è come una coperta di Linus che ci protegge e, allo stesso tempo, ci lega agli altri e ci apre al mondo.
Anche tu conosci questa sensazione, giusto? Quando sperimentiamo questo senso di appartenenza tiriamo fuori il meglio di noi e lo offriamo a chi ci sta intorno. Così tutti ne traiamo beneficio.
In un contesto orientato all’inclusione sociale ogni persona ha a disposizione le stesse opportunità, indipendentemente dalle condizioni economiche o dalla presenza di disabilità. Bello no?

Tutto bellissimo ma…

Al momento la strada da percorrere verso l’inclusione delle persone considerate marginali è ancora lunga. Prendiamo, ad esempio, le persone con disabilità e le chance che hanno di entrare (e rimanere) nel mondo del lavoro. Oggi queste possibilità sono piuttosto esigue. Come mai?
Dal momento che una seria analisi richiederebbe la stesura di un’enciclopedia in più volumi, di seguito rileviamo solo un paio di elementi.

Sbattere il nasino contro le barriere (architettoniche e culturali)

Ci sono le barriere architettoniche, ovviamente. Un esempio? Quando una persona con disabilità raggiunge la sede di un’azienda per l’agognato colloquio ma si accorge della presenza di una tortuosissima scala a chiocciola. Scala a chiocciola che rende l’ufficio più inaccessibile della torre di Raperonzolo. Con tanti saluti all’inclusione lavorativa.

Poi ci sono le barriere culturali. Qualche esempio? Quando dopo un colloquio una persona con disabilità viene informata di essere stata scartata perché il responsabile della selezione ha deciso che il lavoro fosse troppo gravoso per una persona in quelle condizioni, nonostante curriculum ed esperienze pregresse fossero magari lì a documentare il contrario.
Una persona con disabilità si schianta contro la barriera del pregiudizio anche quando viene contattata per il lavoro dei suoi sogni (…evviva!) ma il colloquio comincia con un interrogatorio serrato su patologie e percentuale di invalidità, anche se hanno ben poco a che vedere con le mansioni da svolgere.

“Ma” obietterà qualcuno “oggi in Italia trovare lavoro è difficile per chiunque. E poi la legge che tutela gli inserimenti lavorativi delle persone con disabilità in teoria è una delle più valide al mondo”.
Verissimo.

La consapevolezza che stiamo attraversando un periodo difficile è importante per mantenersi ancorati alla realtà, ma non aiuta nessuno, nemmeno i disabili, a trovare un impiego.
E i dati dimostrano che, se sulla carta la normativa italiana per l’inclusione lavorativa dei disabili è impeccabile, nella realtà ha mostrato tutti i suoi limiti. In Europa il tasso di occupazione medio delle persone con disabilità è del 50%, in Italia invece siamo fermi a uno scarno 36%.

Pensieri e Colori, un ponte tra il dire e il fare inclusione

Se le cose stanno così la situazione non è rosea, vero?
Per renderla meno grigia Pensieri e Colori lavora dal 1995 con l’obiettivo di rimpolpare questa percentuale, accompagnando le persone disabili verso la possibilità di un (re)inserimento lavorativo. Così la prospettiva di mettere a frutto impegno e competenze smette di essere un miraggio e si trasforma in un’opportunità concreta. Tra gli strumenti di cui ci avvaliamo c’è l’articolo 14 della cosiddetta legge Biagi.

Inoltre, possiamo contare sull’energia che da oltre 25 anni ci spinge a perseguire la nostra mission.
Perché siamo convinti che l’esperienza di un ambiente di lavoro inclusivo non solo migliora la qualità della vita delle persone a rischio di emarginazione, ma arricchisce anche la società nel suo insieme e l’esistenza di ciascuno di noi.

Il mondo è bello perché è vario ma se è inclusivo è molto meglio!

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